Ad Est della Cinepresa

Sguardo disincantato al cinema asiatico

Recensione: A land imagined, di Siew Hua Yeo ★★★

Negli anfratti di quel mondo underground che fagocita forza lavoro proveniente da ogni parte del mondo le sparizioni di questi lavoratori alla giornata non destano alcun interesse.

Siamo a Singapore, una grossa cava che serve il crescente boom edilizio dell’isola ingloba centinaia di lavoratori provenienti da tutte le parti dell’asia, un investigatore di Singapore che dovrebbe prendere atto della sparizione di un altro di questi lavoratori, sceglie di non lasciar passare.

L’uomo scomparso è cinese, e cinesi da quelle parti ce ne sono pochi, il referente della cava si contraddice continuamente lasciando così insospettare l’agente.

Agente che sceglie di vivere la vita dello scomparso, così da immedesimarsi nelle sue scorribande.

Il film è elegantemente girato all’interno di scenari claustrofobici illuminati da luci fredde ed intense, il movimento di camera tipico del cinema autoriale asiatico è lento e parsimonioso come a voler sottolineare i pensieri ed i ragionamenti del protagonista.

Il regista costruisce un film intorno a due punti di vista, prima quello dell’agente poi quello dell’uomo scomparso, le due sezioni convergeranno per offrire una qualche risposta all’agente.

In quel mondo le persone sono oggetti usati per i bisogni di chi sta più in alto nella scala gerarchica, i sentimenti, le aspettative per il loro futuro si riducono sempre di più, intorno a loro muri sempre più alti si ergerenno.

Wang, il cinese scomparso, insegue una azione che dimostri di essere ancora un essere umano, una semplice azione come aiutare un bengalese che desidera tornare dalla madre, nel mentre rifulge da quella realtà opprimente passando notti senza sonno in un internet café che fa un po’ di tutto, gestito dall’ammaliante Mindy, interpretata da Yue Go.

Il suo agire muoverà qualcosa che non doveva essere portato allo scoperto, il suo sacrificio non sarà vano.

Film affascinante.

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